Seguendo il versante occidentale dell’isola, tra scorci mozzafiato, si raggiunge un “santuario preistorico” dove si fondono, in perfetta armonia, religione e cultura, in un susseguirsi di graffiti e pitture rupestri di uomini e animali: la Grotta del Genovese.

Posizionata ad un’altezza di circa trenta metri sulle alte e ripide pareti calcaree dell’isola di Levanzo, quasi nascosta dalla vegetazione tipica della macchia mediterranea, la grotta rappresenta una grandiosa testimonianza dell’era paleolitica e neolitica.

Raggiungibile in barca e in fuoristrada è una cavità di straordinario interesse storico e archeologico

Lasciarsi alle spalle il porto, facendosi dondolare dalle onde, su una barca che si muove nel mare blu di Levanzo. Guardare apparire nelle acque incontaminate appena al largo della costa il Faraglione. Poi scorgere in lontananza, nascosta dalla vegetazione tipica della macchia mediterranea, una cavità. Vederla avvicinarsi, con contorni sempre più precisi, e aprirsi su un balcone panoramico mozzafiato, lascia senza parole. È lei, la Grotta del Genovese, posizionata ad un’altezza di circa trenta metri su un’alta e ripida parete calcarea. La si raggiunge dal mare, dopo un tour in barca molto suggestivo, o via terra, a bordo di un fuoristrada, due esperienze uniche che regalano emozioni forti, fino alla più grande, l’entrata nel sito…

La grotta

È formata da un’ampia camera d’ingresso detta “antegrotta”, attraverso la quale si accede tramite uno stretto e basso cunicolo ad una camera interna meno alta e più lunga detta “retrogrotta”. L’antegrotta conserva i resti di una fornace per la fabbricazione della calce risalente ad età tardo medievale, mentre il retrogrotta custodisce 33 figure incise ed un centinaio di figure dipinte, uno straordinario patrimonio di raffigurazioni parietali scoperte nel 1949, grazie alla pittrice fiorentina Francesca Minellono, che era in vacanza sull’isola.

Le pitture

All’interno della grotta sono presenti una serie di pitture nere risalenti alla parte finale del Neolitico. Tra queste, 14 idoletti, sei dei quali ricordano la forma di una fiaschetta o di un violino, con la loro pancia rigonfia, strozzatura centrale e braccia ridotte a piccole appendici; gli altri otto hanno invece forma cilindrica con arti superiori appena accennati. Accanto agli idoletti ci sono diversi animali dipinti in uno stile naturalistico grossolano, con forme strambe e movimento mai accennato. Tra questi il cervo, il bue-toro, il piccolo equide e un tonno con un delfino, che costituiscono le più antiche raffigurazioni di pesci conosciute in Europa. Quasi tutti gli animali sono rappresentati di profilo e sono mancanti, fatta eccezione per un toro riprodotto frontalmente e un equide per il quale è stato ritratto l’occhio. Le rappresentazioni pittoriche antropomorfe sono fortemente stilizzate, il corpo è quasi sempre filiforme e gli arti sono lunghi e sottili, mentre in alcuni soggetti il volume del corpo aumenta e gli arti si accorciano fino quasi a scomparire. Un’unica pittura è in rosso e rappresenta un uomo con corpo sinuoso e testa a forma di cuneo e risale al Paleolitico.

Le incisioni

Rappresentano prevalentemente animali di grossa taglia, a cui si accompagnano quattro raffigurazioni di uomini; tutti i graffiti risalgono alla fine del Paleolitico Superiore. Tre figure antropomorfe sono raggruppate intorno ad un personaggio centrale senza braccia, di grandi dimensioni, con la testa a forma di cuneo, una lunga barba e un cinturone. I soggetti laterali, di dimensioni minori, sembrano essere in movimento, forse in danza intorno ad un personaggio di alto rango. La figura a sinistra è stata incisa di profilo, con le braccia allargate e con un copricapo a forma di uccello o di cavallo; quella a destra, invece, presenta un corpo ondulato e testa a forma di cuneo dalla quale pende un lungo pennacchio. La quarta figura umana incisa nella Grotta del Genovese è costituita da due gambe in corsa.

Servizio a cura di Giovanna Sfragasso