Si fotografa per non dimenticare, per non smettere di guardare.

Un’esigenza che nasce in quei rari luoghi, come il Castello di Punta Troia a Marettimo, che hanno dato forma a più epoche, aggiungendo tasselli importanti al mosaico della storia. Se al sapore del passato si unisce un panorama mozzafiato che lascia senza respiro, il desiderio di scoperta del viaggiatore trova piena soddisfazione.

Grande è la forza della sua suggestione, di un fascino che non è solamente visivo. Il rumore del mare che si infrange sugli scogli, il vento che soffia regalando sensazioni uniche e lasciandosi alle spalle il profumo della storia. Il Castello di Punta Troia è tutto questo… ma è anche molto altro…

La posizione

Il forte si trova nel cuore del Mar Mediterraneo, in un punto strategico dove sono passate molte civiltà. Orientato lungo una direttrice nord-ovest/sud-est, dista 37 km dalla costa trapanese, 25 km da Favignana e 130 km da Capo Bon in Tunisia. Il Castello di Punta Troia, di proprietà del Comune di Favignana Isole Egadi, oggi è sede del Museo delle Carceri e Osservatorio “Foca Monaca” dell’Area Marina Protetta.

La storia

Risale probabilmente al periodo saraceno la costruzione di una prima torre di avvistamento sul promontorio di Punta Troia. Attorno al 1140 Ruggero II, re di Sicilia, trasformò questa costruzione in un vero Castello a presidio dell’estremità occidentale di quello che era all’epoca il regno più ricco e potente del Mediterraneo. Successivamente si susseguirono la dominazione sveva, angioina, aragonese e spagnola con la parte di ponente che divenne ricettacolo di pirati e corsari. Nel 1963, la Corona spagnola, in bancarotta per le continue guerre, cedette l’arcipelago delle Egadi al marchese Pallavicino di Genova. Nel 1651, al largo tra Marèttimo e Levanzo, venne trovato un grosso banco di coralli e l’isola ospitò le barche dei corallari trapanesi, che passavano la notte allo Scalo Maestro, sotto la protezione della guarnigione del Castello di Punta Troia. Con la Rivoluzione Francese, il “Real Castello del Marètimo” divenne “orrida prigione”, soprattutto per detenuti politici. Nel 1973, contava 52 prigionieri, ammassati in una cella ricavata in una vecchia cisterna detta “la fossa”. Nel 1844, il re Ferdinando II, dopo averlo ispezionato, lo abolì. Insieme cadde in rovina la vicina chiesetta dedicata a Sant’Anna e la cappella dedicata a Maria SS. delle Grazie, unico luogo fino a quel momento in cui i marettimari ricevevano i sacramenti.

Le prigioni

Le condizioni della prigione del Castello di Punta Troia vennero descritte dal Generale Guglielmo Pepe, una delle figure più generose e nobili dell’Ottocento, il detenuto più famoso in assoluto ad essere stato nell’orribile fossa. Non ancora ventenne, reo di essere sospettato di cospirare contro la tirannia e l’oppressione di Re Ferdinando I di Borbone, venne arrestato a Napoli, insiema al patriota Gaetano Rodinò e senza alcun processo venne condannato all’ergastolo e mandato ad espiare la pena nella fossa di Marèttimo, la cui pronuncia in siciliano “Maretimo” aveva anagrammato in “Morte Mia”.

Nelle sue Memorie, Pepe descrive anche come l’avvocato Nicolò Tucci, trucidato nella fossa insieme a Vincenzo Guglielmi “per un gioco di parole malamente interpretate dai militari di guardia”, riuscì a individuare 22 tipi di insetti diversi.

Dal settembre 1822 al 1825 la fossa di Marèttimo ospitò il marchigiano di Sant’Angelo in Pontano Nicolantonio Angeletti, carbonaro oppositore del Regno di Napoli, che ha lasciato una dettagliata pianta da lui stesso disegnata su come era organizzato il forte. Secondo il suo disegno la fossa aveva la forma di un trapezio isoscele con una base particolarmente stretta e un’altezza di poco superiore ai due metri.

L’origine del nome

Il Castello di Punta Troia trae il suo nome daLla confermazione della roccia, che prende la forma della scrofa, la femmina del maiale, chiamata in Sicilia “troia”. Osservandola dall’alto si può notare come gli scogli assomiglino al naso e alle guance del maiale.

L'”Itaca” di Ulisse

Lo scrittore inglese Samuel Butler, oltre ad essere un apprezzato pittore, musicista, critico d’arte e fotografo, fu anche il traduttore dell’Iliade e dell’Odissea. A tal proposito fece numerosi viaggi in Sicilia, stimolo per i suoi studi sul Poema. Butler si convinse che a scrivere l’opera fosse stata una donna vissuta a Trapani tra il 1050 e il 1000 a.C., tanto da pubblicare a Londra, nel 1897, il libro “The authoress of Odyssey”. Marèttimo, secondo la sua teoria, poteva essere l’Itaca di Ulisse. Spinto da questa convinzione Butler si avventurò fino alla più lontana dell’isola delle Egadi dove rimase dal 16 al 19 agosto del 1894.

Un matrimonio da sogno…

“È stata un’esperienza bellissima e suggestiva”. A parlare è Cettina Spataro che con la sua agenzia di viaggi ha curato l’organizzazione del primo matrimonio, celebrato con rito haitiano, al Castello di Punta Troia. “Il rito civile era stato celebrato il giorno prima a Marettimo. Circa novanta persone, compresi anche alcuni bambini, hanno raggiunto il luogo della celebrazione sbarcando allo Scalo Maestro per partecipare e condividere le emozioni degli sposi”. A coronare il loro sogno d’amore sono stati Emilie e Silvio, lei francese, lui siciliano. Vivono ad Haiti, presto si trasferiranno a Whasington. Sono entrambi a capo della Oxfam, importante organizzazione umanitaria. La serata dei due novelli sposi al Castello si è conclusa davanti ad un tramonto mozzafiato con il fratello dello sposo che ha intonato canti e musiche haitiane.